L'Angolo di Merlino

Tutta l’esistenza è alimentata e sostenuta da ritmi ciclici talmente vasti o minuscoli da non poterceli neanche figurare. Fra questi due estremi vi sono frequenze che noi umani siamo in grado di percepire, e che servono ad assicurare, da sempre, un ordinamento interno alle nostre vite. L’anno solare contiene in sé un intero ciclo di attività riproduttiva naturale e probabilmente di maggiore influsso per l’esperienza umana, dato che misura i processi agricoli necessari alla sopravvivenza della Tribù.

Altri cicli giocano un ruolo diversamente significativo nel dare ordine all’esistenza: in particolare, il crescere e decrescere della luna. Ogni lunazione imita in miniatura l’ordine dell’anno, con il suo periodo di crescita (samos), il raggiungimento della pienezza, e quindi il decremento (giamos) fino alla completa scomparsa nell’oscurità. Mentre la luna crescente promuove la crescita e favorisce l’inizio dei nuovi progetti, la luna calante consiglia la purificazione e l’allontanamento degli influssi indesiderati.

Esiste un esempio, nella letteratura mitologica celtica, direttamente collegato all’immaginario e alla forma magica dell’anno lunare. Si tratta dell’incantesimo recitato dal druido archetipico e bardo Amairgen, quando, secondo la leggenda, mise per la prima volta piede sulla terra d’Irlanda rivendicandola per la sua gente, gli antenati dei Gaeli. Egli recitò un elenco di tredici immagini – il Canto di Amairgen  appunto affermando d’essere passato attraverso lo stato dell’essere proprio a ciascuna di esse, e che l’insieme di queste diverse esperienze gli aveva conferito l’autorità magico/spirituale  per sostenere la propria rivendicazione.

Con ogni probabilità la tredici righe che iniziano con “sono”, rappresentano i tredici mesi dell’anno lunare, e l’impianto che ne consegue ha lo scopo di esprimere il carattere esoterico di ciascuno di essi.

Quelli che seguono, e seguiranno nei prossimi mesi, sono la mia personale e libera rivisitazione delle letture dei Canti di Amairgen operata da A.Kondratiev nel suo libro “Il tempo dei Celti”.

 

 

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