L'Angolo di Merlino

Con la luna piena collocata nello spazio temporale che va dal 15 Aprile al 12 Maggio, Amairgen ci presenta la sua settima forma: “Sono un falco su una rupe”.

Di fronte alle due parole chiave del testo, mi chiedo se la rupe stabilisca un confine o rappresenti un limite; se costituisca cioè uno sbarramento o possa invece insinuare, attraverso una provocazione sottile, l’urgenza del cambiamento. Questo perché se il confine divide, separa, demarca – essendo dapprima conseguito e poi difeso – il limite viceversa approssima indefinitamente ad un’ipotesi futura, senza mai conseguirla compiutamente. Supera dunque, o uomo, il confine cui ti appigli con pervicacia, e il limite ti accompagnerà come un fratello che ti ricorda chi sei, del tuo ruolo in quello che sarà il domani, capace di sconvolgere ogni tua previsione!

Nelle parole del Bardo sento dunque stagliarsi il valico tra un territorio posto al di qua e uno posto al di là, tra ombra e luce, tra Giamos e Samos. Accade come quando, in montagna, il primo chiarore dell’aurora, dischiude uno scenario talmente illimitato da incatenare lo sguardo che vi spazia, con la suggestione infinita di possibilità irrisolte e discontinue.

Siamo di nuovo parte del fluire di un transito eterno, ma non è l’Altromondo quest’oggi a convocarci, richiamato alla veglia dalla prima luna dell’anno e dal boato sonoro delle onde oceaniche invernali. C’è un inizio cui appressarsi, una promessa da rispettare, nella fertile terra del sogno baciata dai primi raggi di un sole levantino. In essa pone il suo nido il Falco Pellegrino che di questo scenario rappresenta l’insonne vigilanza e, nel contempo, lo strumento stesso del transito. Mentre reca con sé la voce degli Antichi, che parla alle nostre orecchie con i toni soavi della coscienza risvegliata, il presagio, al levar della luna, nella tessitura della primavera, evoca la sapiente alchimia delle traiettorie. Da soli ci conduce nei suoi luoghi più alti, vasti pianori dove la nebbia cede al chiarore luminoso e terso del giorno che nasce, potente allo sguardo ed al cammino.

Gwalchmai, il Falco di Maggio, è il signore di queste aule; catalizzatore finale del passaggio da Giamos a Samos. Ed è la sua azione volitiva a liberare le energie di crescita della Terra dal sotterraneo esilio stagionale, per permettere loro di aprirsi all’amorosa stagione dei frutti. Nella tradizione celtica gallese Gwalchmai si identifica nella figura di Galvano, uno dei principali compagni di Artù. Egli è a sua volta metafora del sole; la sua forza invincibile è infatti soprattutto diurna e si indebolisce col tramonto. La conoscenza delle erbe, che egli possiede, ne fa un guaritore. La sua essenza solare unita all’arte che professa, configura la dimensione di visibilità che è propria di un re-taumaturgo, le cui mani curano così come possono procurare la morte.

Anche per noi, fratelli, è venuto il momento dell’azione, che ci spingerà alla scoperta di un mondo nuovo e di una dimensione diversa. Ci siamo stretti gli uni gli altri, dopo esserci riconosciuti con stupore, nell’ombra ovattata dell’esilio; e insieme siamo passati attraverso distillazioni progressive, nel mentre che le essenze di acqua, aria e fuoco ricreavano in noi l’antica possanza e tempravano sapientemente la sua natura indomabile. Oggi siamo pronti, in questo nuovo inizio, a riversare nel mondo tutta l’energia di guarigione che abbiamo custodito e preservato, nel sacrario del cuore, durante questa lunga stagione invernale.

Lo faremo con lo spirito del Falco e con la sua intraprendenza. E quanto pur vera e comprovata sarà la sua abilità nel cogliere il sentore dell’inizio, dovrà essere questa di fatto temperata dalla fedeltà al cammino intrapreso. Poiché focoso è lo slancio e contagioso l’entusiasmo che promuove, e tuttavia il volo del Pellegrino dovrà mitigare, assieme all’insofferenza per l’attesa, l’ansia per l’obiettivo. La Luna del Falco non appare di certo diplomatica; impara dunque o uomo, dopo che avrai intrapreso questo transito, a moderare la tua franchezza, poiché l’azione che ne scaturisce non sia suscettibile e impulsiva, dettata dall’orgoglio o dalla vanità. E mentre godi dell’improvvisazione scaturita dal battito potente della tua ala, stabilisci per tempo la traiettoria più congeniale al tuo volo, affinché questo non cambi continuamente di direzione e natura. Sii tu pioniere della vita. Riporta in terra i doni del cielo, cosicché la beatitudine che sarai riuscito a condividere con i tuoi compagni compensi i bisogni della tua natura solitaria.

Davanti a noi c’è la rupe, promessa di luoghi alti e salubri; in noi la speranza è distesa, coi suoi fianchi opulenti, come donna bellissima e fertile, partecipe di ogni nostro desiderio. Gwalchmai ne carezza il profilo, teneramente, con la precisione accurata del suo volo, e, attraverso di lui, dopo che siamo divenuti lui, assorbendo l’energia sconfinata al potere crescente della luna, anche noi torneremo capaci di intraprendere e interpretare, con rinnovata dedizione, la fase chiara dell’anno, alla luce ammaliante dei suoi mille approdi.

E quando poi, al calare della luna, la ricerca memorabile della Fanciulla dell’Estate volgerà al suo epilogo vittorioso e alla sua epifania, la consapevolezza appagata riempirà di vino le nostre coppe, innalzando, come stendardi al vento, la vertigine dei nostri cuori.

“Salve, Luna del Falco! L’Araldo dell’Estate è là fuori sulla Terra, i fiori si gonfiano ed esplodono, l’inverno arretra. Diveniamo campioni-guerrieri della luce, aprendo la strada a un gioioso trionfo dentro di noi”.

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