L'Angolo di Merlino

Benvenuta, Luna della Marea! L’oscurità ha raggiunto il suo apice

e spazza via i resti dell’anno passato. Noi spazziamo via tutti i  ricordi

di errori passati e ci prepariamo al nuovo inizio.
Mentre così lento, si consuma l’attraversamento del palcoscenico del mondo, e la mente opalina riflette, in morbida sospensione, gli infiniti recessi del trascorrere, accade talvolta di uscire dal flusso del Tutto e ripercorrere la filigrana del tempo nel punto esatto dove s’inverte la marea e le vaghe stelle tornano a vegliare sull’abisso.

Quando la vita intera geme da confini violati, mi è caro rammentare la partenza, che mi fu madre in quei lontani giorni di maggio, di fronte al congedo sontuoso di un rosso sole vespertino. Timidamente sentii allora risuonare il tema, radioso e solitario, di una sola canzone. Ne afferrai il senso non con la ragione, ma sentendomene cullato come un bimbo tra le braccia della nutrice. Crebbi fortificato della presenza rassicurante di quel tema, caro al mio cuore e ricorrente, e per proteggerlo eressi mura invincibili, e assoldai eserciti addestrati a difenderle. Confidai quindi nella distanza che potevo frapporre, aggiungendo altezze e profondità a quei confini, e mi rivolsi infine al tempo perché potesse consumare, attraverso l’oblio, la memoria di ogni suo accesso. Ma quando, divenuto ormai vecchio, mi accinsi alla strada del ritorno, di quell’unico suono arcano e ineffabile che aveva riscaldato da sempre la mia vita, innalzandola sulle potenti ali del vento, non restava che un’unica sommessa vibrazione. Non c’era dimora o difesa che potesse preservarla, e allora compresi che quel tema natale era mio dalle origini, e che si sarebbe dispiegato, da allora, tutte le volte che l’avessi richiamato ai miei strumenti. Capii che il tema richiedeva una serie di accordi che lo declinassero in accadimenti, e che per ognuno di questi armonici, la mia veste sarebbe mutata, per arricchirsi con una nuova percezione di vita.

Per questo io sono l’attimo infinito, e il mutevole estro del vento, e il cuore rovente del sacro fuoco. Sono il ricordo di emozioni distillate a ogni goccia, e il succedersi petroso delle erte giogaie della terra. Da allora i confini non fecero più parte di me, se non per poterli superare, e ciò che un tempo custodivo gelosamente, contribuisce oggi a rendermi partecipe degli infiniti stati dell’essere e del complesso transito delle stagioni del mondo. Per questo io sono oggi Amairgen, il Bardo, colui che si staccò, infine, dopo essersi arreso all’evidenza dell’abisso, dalla riva delle necessità.

La scogliera appare come un ricordo remoto, sull’orizzonte degli eventi, intriso degli ultimi bagliori di un crepuscolo che, da un confine all’altro dell’orizzonte, acquieta l’ansia della ricerca nell’abbandono più struggente. Ci sono vie d’acqua adesso, e correnti, laddove prima bastioni di roccia e terra insensibilmente degradavano sopra i regni della contesa. Ci sono profondità insonni, e bisogni febbrili di proiettare, sui fondali della muta contemplazione, quella livida rabbia del dolore di sé che, all’estremo lembo terrestre di ogni possibile rimpianto, dove la causa ed i suoi effetti hanno eretto reciproche dimore, alimenta a memoria un mesto addio.

Occorre che infine ci separiamo dal riverbero cupo di quelle leggi con cui l’uomo ha forgiato catene invincibili, e porre da esse la distanza di nove onde (1), affinché possa essere lecito, ed infine sapiente, comprendere come, in questa infinita vastità primordiale, niente sia esistito che non possa abbracciare la sua pena, niente esisteva che non possa tornare all’esistenza, nello scenario liquido che più gli è proprio e aggrada, e con il gesto eloquente dell’approdo.

Perché dai campi roventi e tormentati, a questo nuovo riproporsi di luna, una commossa pioggia ha dilavato il sangue dei padri, seminandone l’onda e la memoria.

Molte sono le vie segrete dell’acqua, molti i canali scavati nell’abisso. Una volta lasciati i fuochi fatui della Barriera, ogni spirito liberato potrà tendere al luogo dove la vita rigenerata pulsa, dove fertili, le volute del cambiamento, attendono. Ogni cresta dell’onda avrà il suo nome, ed ogni ventre porterà con sé l’ansia del risalire alla visione degli spazi aperti. Non ci sono tracce, nel fluido mondo della marea. Tutto è nuovo e inatteso su questo oceano, e il muggito arcano dei grandi mostri marini, parla al cuore del tempo e rinnova, con la misura dell’estro armonico, un infinito riproporsi alle origini. Quanto evoca la ricerca della profondità, tesse al suo interno i contorni inediti di una epifania, e briciole divine si congiungono, allora, per separarsi; si accostano furtive e appropriate per poi sottrarsi all’improvviso, come mute al timore di tanto ardire, sopraffatte, infine, dall’estasi di nuove onde. Nell’apparenza di questo caos, la grande trama si riconnette, e di nuovo aggiunge e rimescola, sapiente, gli interpreti del Canto del Ritorno, per consentire di ritrovar le stelle e la speranza nella “Casa di Tethra”. (2)

È luogo questo, oscuro e pregno di ogni dissoluzione. In esso la memoria si affranca dal peso antico che l’ha gravata, per divenire infine riconoscente. Qui, nell’umido letto, ogni vicenda che fu umana, si fa celebrazione. Qui la caduta dell’estremo inganno rivela come la vita conduca a morte, e come ogni morte non sia nient’altro che fatale attrazione per la vita. (3)

Tu che sei pellegrino sulle vie segrete dell’Oltremondo, ascolta riecheggiare, nelle sue aule profonde, questo antico sapere:

… ho visto svolgersi le bellezze sul grande palcoscenico del mondo, e me ne sono estasiato fino all’ebbrezza.

… Ho combattuto molte battaglie, da paladino della speranza, ricevendone in cambio sacro onore e intendimenti di giustizia.

… Ho seminato i campi per vederne biondeggiare le spighe al caldo sole d’agosto, e ne ho tratto letizia del futuro e auspici di serenità.

… Ho amato la mia donna con tutto l’ardore e la tenerezza delle stagioni fuori dal tempo, e ho benedetto, col suo grembo, il figlio della promessa che sopravvivrà ai giorni del commiato.

Che io possa affrontare dunque, forte di questa fede, il buio che sovrasta la tomba d’acqua, e lavare col balsamo della sua magica onda le ferite del mio spirito, e procedere spedito per la Casa di Tethra, dove, ad una ad una, in successione di letizia, richiamerò le stelle dalla notte più cupa, per tornare a guidare le possenti mandrie verso tenere pasture rinnovate dal Destino (4).

Merlino

 

Tutte le note sono tratte da Kondratiev, “Il tempo dei Celti”:

(1)[Nella tradizione irlandese l’espressione thar naoi dtonn (“oltre le nove onde”) definisce il punto in cui le leggi stabilite sulla terra devono lasciare il posto all’imprevedibile fluidità dell’oceano dell’Altromondo].

(2)[“Chi porterà il bestiame dalla casa di Tethra?”].

(3)[chi ha viaggiato nel buio della casa di Tethra ed è riuscito a tornare sarà in grado di richiamare dall’inconscio immagini che danno la vita, così come le stelle emergono dall’abisso ogni notte sul percorso a mo’ di ruota che tracciano nei cieli].

(4)[Il buar Tethrach è la ricompensa finale per coloro che rischiano sé stessi nel mondo al di là della coscienza; e le leggende di tutto il mondo celtico che parlano di bestiame magico che esce dalle profondità acquatiche riflettono proprio questo motivo].

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